La parola del Parroco - Don Maurizio Spreafico - 21 luglio 2024

Carissimi, celebriamo la XVI Domenica del Tempo Ordinario. La Liturgia della Parola di questa domenica ci illustra la figura del Pastore. Nella Prima Lettura, il profeta Geremia ci parla della preoccupazione del Signore a causa dei pastori che fanno perire e disperdere il suo gregge e dell’impegno che il Signore stesso si prende per radunarlo e proteggerlo. Nel Salmo responsoriale proclamiamo con fiducia: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla”. Nel Vangelo poi si evidenzia la compassione che Gesù prova nei confronti prima dei discepoli e poi della folla che lo attende “come pecore senza pastore”.

Nel vangelo di Marco emerge la compassione di Gesù prima per i suoi discepoli e poi per la folla. Di ritorno dalla missione, i discepoli si riuniscono attorno a Gesù e gli riferiscono dell’attività svolta: sul suo esempio hanno insegnato e guarito, accolto e consolato. Ora però sono stanchi e sono pressati dalla folla, al punto che non avevano più neanche il tempo di mangiare. Gesù si commuove per loro, prova nei loro confronti una tenerezza come di madre e li invita a ritirarsi in disparte per riposarsi un po’. Gesù ha cura dei suoi discepoli, non vuole spremerli fino in fondo e comprende che hanno bisogno di un po’ di tranquillità. C’è un tempo per agire e un tempo per ritemprare le forze. Diceva Sant’Ambrogio: “Si vis omnia bene facere, aliquando ne feceris … se vuoi far bene tutte le cose, ogni tanto smetti di farle”. Venite in disparte con me – dice Gesù ai suoi discepoli – imparate da me che sono mite e umile di cuore, abbiate in voi gli stessi miei sentimenti, fate crescere nel vostro cuore l’amore autentico e poi ritornate nella folla cercando di essere segni e portatori di quell’amore di Dio che abita in voi.

Qualcosa però cambia i programmi del gruppo: “Gesù, sbarcando vide molta folla ed ebbe compassione di loro, e si mise ad insegnare molte cose”. Gesù cambia i suoi programmi e rinuncia al suo riposo. La prima cosa che offre alla folla è la compassione, l’immedesimarsi nella situazione di bisogno e di necessità dell’altro. Insegna per prima cosa come guardare le persone; prima ancora di che cosa dire loro, insegna uno sguardo che manifesti commozione e tenerezza. Mi raccontava un mio confratello missionario che una volta, mentre accompagnava il vescovo locale che era sempre in viaggio e molto vicino alla sua gente, camminando per la strada tanti lo fermavano e gli dicevano: “Padre, posso venire a parlarti?”. E lui rispondeva: “Sì, vieni pure quando vuoi!”. Rispondeva così a tutti, e a un certo punto il confratello che lo accompagnava gli domandò: “Padre, ma non guardi l’agenda? Non guardi se hai tempo, se hai degli impegni?”. E lui rispose sorridendo: “Prima la gente, poi l’agenda … prima le persone, poi i programmi!”.

 

Concludo con alcune parole di due testimoni del nostro tempo, Mons. Tonino Bello e Giorgio La Pira, sindaco di Firenze. Diceva Mons. Bello: “Cari pastori, un giorno il Signore vi chiederà conto se lo spirito che ha animato il vostro impegno è stato quello del servizio o quello del self-service”. Diceva invece il sindaco La Pira ai consiglieri comunali di Firenze il 24 settembre 1954: “Voi avete nei miei confronti un solo diritto, quello di negarmi la fiducia! Ma non avete il diritto di dirmi: Signor sindaco, non s’interessi delle creature senza lavoro, senza casa, senza assistenza, ecc. è mio dovere fondamentale. Se c’è uno che soffre, io ho un dovere preciso: intervenire in tutti i modi, con tutti gli accorgimenti che l’amore mi suggerisce e che la legge fornisce, perché quella sofferenza sia o diminuita o lenita. Altra norma di condotta per un sindaco in genere e per un sindaco cristiano in specie, non c’è”.