La parola del Parroco - Don Maurizio Spreafico - 6 luglio 2025

Carissimi, dopo le solennità del mese di Giugno, entriamo nel Tempo Ordinario che ci condurrà fino al prossimo Avvento. Oggi celebriamo la XIV Domenica del Tempo Ordinario e nel vangelo di questa domenica leggiamo che «il Signore designò altri settantadue [discepoli] e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi». I discepoli sono stati inviati a due a due, non singolarmente. Andare in missione a due a due, da un punto di vista pratico, sembrerebbe comportare più svantaggi che vantaggi. C’è il rischio che i due non vadano d’accordo, che abbiano un passo diverso, che uno si stanchi o si ammali lungo la via, costringendo anche l’altro a fermarsi. Quando invece si è da soli, sembra che il cammino diventi più spedito e senza intoppi. Gesù però non la pensa così: davanti a sé non invia dei messaggeri solitari, ma discepoli che vanno a due a due.

Compito dei discepoli è di andare avanti nei villaggi e preparare la gente ad accogliere Gesù; e le istruzioni che Egli dà loro sono non tanto su che cosa devono dire, quanto su come devono essere, sulla testimonianza di vita, la testimonianza da dare più che sulle parole da dire. Infatti, li definisce operai: sono, cioè, chiamati a operare, a evangelizzare mediante il loro comportamento. I discepoli sono in missione innanzitutto con il loro essere insieme, con la loro testimonianza di fraternità: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). E la prima azione concreta con cui i discepoli svolgono la loro missione è proprio quella di andare a due a due. I discepoli non sono dei “battitori liberi”, dei predicatori che non sanno cedere la parola a un altro. È anzitutto la vita stessa dei discepoli ad annunciare il Vangelo: il loro saper stare insieme, il rispettarsi reciprocamente, il non voler dimostrare di essere l’uno più bravo dell’altro, il concorde riferimento all’unico Maestro. Allora possiamo chiederci: come portiamo agli altri la buona notizia del Vangelo? Lo facciamo con spirito e stile fraterno, oppure alla maniera del mondo, con protagonismo, competitività ed efficientismo?

I discepoli sono invitati a partire senza pane, né sacca, né denaro, senza nulla di superfluo, anzi, senza nemmeno le cose più utili. Perché l’incisività del messaggio non sta nello spiegamento di forze o di mezzi, ma nella credibilità del messaggero che comunica con gioia e semplicità una bella notizia: l’incontro con il Signore Gesù!

La missione affidata ai discepoli si sviluppa attorno a tre imperativi: portate la pace, guarite i malati, annunciate che il Regno di Dio è vicino! Innanzitutto, la pace, che biblicamente non è solo assenza di guerre e di conflitti, ma è “shalom”, cioè la presenza di Dio nella tua vita apportatrice di tutti i beni desiderati. Poi la guarigione, che significa vicinanza, compassione, condivisione, sollievo, consolazione, segni concreti dell’amore di Dio. E infine l’annuncio, un annuncio bello: Dio si è avvicinato, si è incarnato, il suo regno di giustizia e di pace si sta realizzando.

 

Il ritorno dei settantadue discepoli dalla missione è accompagnato dalla gioia. Gesù li invita a gustare la gioia vera e profonda, non la gioia del successo o dei risultati raggiunti, ma la gioia profonda dell’essere, che è la gioia della donazione, del servizio, della gratuità, dell’essere incamminati verso la patria del cielo.