Carissimi, in questa domenica celebriamo la solennità dei Santi Pietro e Paolo Apostoli e Patroni di Roma. Pietro e Paolo stanno davanti a noi come testimoni. Non si sono mai stancati di annunciare, di vivere in missione, in cammino, dalla terra di Gesù fino a Roma. Qui lo hanno testimoniato sino alla fine, dando la vita come martiri. Guardiamo da vicino questi due testimoni della fede: al centro della loro storia non c’è la loro bravura, ma al centro c’è l’incontro con Cristo che ha cambiato la loro vita. Hanno fatto l’esperienza di un amore che li ha guariti e liberati e, per questo, sono diventati apostoli generosi e coraggiosi. Le loro vite non sono state pulite e lineari. Entrambi erano di indole molto religiosa, ma fecero poi sbagli enormi: Pietro arrivò a rinnegare il Signore, Paolo a perseguitare la Chiesa di Dio.
Tutti e due furono messi a nudo dalle domande di Gesù: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?» (Gv 21,15); «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (At 9,4). Pietro rimase addolorato dalle domande di Gesù, Paolo accecato dalle sue parole. Gesù li chiamò per nome e cambiò la loro vita. E dopo tutte queste avventure si fidò di loro, di due peccatori pentiti. Potremmo chiederci: perché il Signore non ci ha dato due testimoni integerrimi, dalla fedina pulita, dalla vita immacolata? C’è un grande insegnamento in questo: il punto di partenza della vita cristiana non è l’essere degni; con quelli che si credevano bravi il Signore ha potuto fare ben poco. Il Signore non compie prodigi con chi si crede giusto, ma con chi sa di essere bisognoso. Egli ci ama così come siamo e cerca gente che non basta a se stessa, ma è disposta ad aprirgli il cuore. Pietro e Paolo sono stati così, trasparenti davanti a Dio. Pietro lo disse subito a Gesù: «sono un peccatore» (Lc 5,8). Paolo scrisse di essere «il più piccolo tra gli apostoli, non degno di essere chiamato apostolo» (1 Cor 15,9). Nella vita hanno mantenuto questa umiltà, fino alla fine, sperimentando il perdono del Signore.
Alla domanda di Gesù nel vangelo di oggi Pietro risponde: «Tu sei il Cristo», cioè Messia. È una parola che non indica il passato, ma il futuro: il Messia è l’atteso, la novità, colui che porta nel mondo l’unzione di Dio. Gesù non è il passato, ma il presente e il futuro, non è un personaggio lontano da ricordare, ma Colui al quale Pietro dà del tu: Tu sei il Cristo. Anche al centro della vita di Paolo troviamo la stessa parola che trabocca dal cuore di Pietro: Cristo. Paolo ripete questo nome in continuazione, quasi quattrocento volte nelle sue lettere! Per Lui Cristo non è solo il modello, l’esempio, il punto di riferimento: è la vita. Scrive: «Per me il vivere è Cristo» (Fil 1,21). Gesù è il suo presente e il suo futuro, al punto che giudica il passato spazzatura di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo.
Oggi, dunque, mentre contempliamo la vita dei due grandi apostoli Pietro e Paolo, cerchiamo di rispondere come loro alla domanda fondamentale di Gesù che risuona nel vangelo: «Voi, chi dite che io sia?». Chi è Gesù per me? Chi è Gesù nella mia vita? La risposta di Pietro si potrebbe sintetizzare con una parola: sequela. Pietro ha vissuto nella sequela del Signore, fin dall’inizio, quando Gesù l’ha chiamato lungo il mare di Galilea insieme a suo fratello Andrea, ed egli subito ha lasciato tutto e si è messo a seguirlo. E anche dopo la risurrezione, rinnovato dall’incontro con il Risorto che lo interroga per tre volte sull’amore, è invitato nuovamente a seguirlo: “Seguimi!”. Se la risposta di Pietro consisteva nella sequela, quella di Paolo è l’annuncio, l’annuncio del Vangelo. Anche per lui tutto iniziò per grazia, con l’iniziativa del Signore, sulla via di Damasco. E poi l’annuncio divenne una necessità: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1 Cor 9,16). Chiediamo ai due santi Apostoli Pietro e Paolo di essere come loro, discepoli fedeli e annunciatori coraggiosi del Vangelo!